UN GIOCO DI SQUADRA. QUANDO LA REPUTAZIONE AZIENDALE VA OLTRE LA COMUNICAZIONE

CORPORATE REPUTATION: SFIDE E TENDENZE NELL'ERA DIGITALE

di Stefano Tassone, Head of Group Communications Mediobanca

 

Deriva in parte da azioni che è possibile tracciare, quantificare nel corso del tempo, e in parte dagli animal spirits che fanno del mercato un gioco infinito e sostanzialmente imprevedibile. 

 

La reputazione aziendale è considerata a pieno titolo un asset, o un “fattore determinante per il successo” secondo gli studi accademici più recenti, e deve la sua centralità a un affascinante paradosso: quando può essere definita tale, perché permette di generare un valore significativo all’azienda, è stratificata a un livello che è ben al di fuori del suo stesso controllo.

Soltanto nella percezione degli stakeholder possono infatti essere attribuite all’azienda unicità e fiducia, concetti tra i più citati in tema di reputazione. 

 

E chissà che non siano queste le ragioni per cui Warren Buffett, investitore che ha finanziato alcune tra le aziende che vantano le valutazioni di mercato più elevate al mondo, ha affermato: “Ci si può permettere di perdere molto denaro, ma non ci si può permettere di perdere nemmeno un briciolo di reputazione”.

Il denaro lo si scambia continuamente, così come altre risorse, la reputazione è ancor più scarsa e metterla in gioco presenta molti rischi, come sottolineano i manager della comunicazione intervistati nell’Ipsos Global Reputation Council Report 2024 citando in particolare le sfide reputazionali che derivano da operazioni di M&A e dalle attività di sponsorship.

 

Il valore della reputazione aziendale sta dunque nella difficoltà di addomesticarla. Lo dimostra la necessità per professionisti e ricercatori di riflettere sull’argomento prendendo sempre in prestito concetti legati alla sfera della persona.

In ambito aziendale la reputazione, che è prima di tutto un elemento chiave nella relazione tra individui, non si lascia assorbire da elementi quali brand, posizionamento, awareness, che vanno considerati fattori che la precedono, ma che non bastano a determinarla. È la natura profonda della reputazione: un processo in cui “valutare, stimare, fare i conti” che tradotto in cinese mandarino diventa una parola inserita nel perimetro di senso di “faccia”.

La reputazione trae origine da fatti ed esperienze, ma il calcolo mentale si traduce presto in una sintesi di emozioni suscitata da un volto. È dimostrato come il cervello ricavi un’impressione dalla vista di un volto in appena un decimo di secondo, con un effetto non dissimile da quello che innesca l’identità visiva di un’azienda esposta a professionisti, clienti, cittadini.

 

In uno scenario in cui i comunicatori rafforzano il proprio controllo su strumenti e attività a loro disposizione, affinando le capacità utili a interagire con i propri interlocutori all’interno di arene condivise, il campo in cui si definisce la reputazione aziendale si sta allargando. Le tendenze della regolamentazione e dello sviluppo tecnologico consentono alle imprese di assumere un ruolo più incisivo nella società, restando al passo con le aspettative delle persone.

 

Prendendo il caso del settore bancario, la ricerca si divide prevalentemente in un polo di studi sulla lealtà della clientela e un altro sui rischi reputazionali.

Mantenere l’equilibrio nella comunicazione può sostenere la reputazione e sviluppare un approccio più dinamico tra questi due poli, che vada oltre la conservazione di altri asset aziendali. Mentre la reputazione aziendale si fa multidisciplinare, si apre l’opportunità di integrare le competenze dei comunicatori con quelle di altre funzioni aziendali nella gestione delle relazioni con gli stakeholder.

Presidiando attivamente il mercato prima che la comunicazione entri in campo, la reputazione aziendale diventa un gioco di squadra in cui ciascuna componente dell’azienda può identificare il proprio ambito di responsabilità.