AUTOREVOLEZZA NELLA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE: SFIDE E OPPORTUNITÀ NELL’ERA DIGITALE

POLITICA E SOCIAL NETWORK: ETICA, PARTECIPAZIONE E POLARIZZAZIONE

di Lorenza Pigozzi, Fincantieri Group Communication Director – Executive Vice President

Per la comunicazione istituzionale è tempo di strategie di posizionamento reputazionale e contenuti autorevoli, in un’era in cui il clickbait e le macchine digitali del consenso hanno evidenziato tutti i loro limiti nell’impatto reputazionale.

Autorevolezza: è indubbiamente questo il punto nodale di una valida strategia di comunicazione istituzionale e politica. Ad oggi, è anche il risultato più ambìto, l’obiettivo a cui tendere per raggiungere e orientare le diverse audience. Si può dire, con un gioco di parole, che un’autorità è percepita come tale se comunica con autorevolezza.

Sono molti e di varia natura i dati che ci permettono di tracciare un quadro d’insieme che, proprio perché presenta delle notevoli aree di miglioramento, diventa stimolante per chi di professione segue ed esercita le attività di comunicazione politica e istituzionale. 

Un primo dato incontrovertibile ci viene dal monitor Edelman Trust Barometer che studia l’andamento del rapporto di fiducia tra i cittadini e governo, business, media e organizzazioni non governative e che vede il business come l’istituzione che ha ottenuto il maggior punteggio con l’indicatore della fiducia, raggiungendo quota 57 punti (+12 punti rispetto al 2013). Le organizzazioni non governative raggiungono un indice di 49 (vs. 54), media e governo toccano rispettivamente quota 47 (vs. 50) e 46 (vs. 49). Governo perciò fanalino di coda tra le istituzioni cui rimettere fiducia con il dato in calo. 

La seconda fotografia è unanime ed è tracciata dai principali istituti di sondaggi dell’opinione pubblica, da Noto Sondaggi a Euromedia Research passando per Ipsos e SWG. Alla voce “Indice di disaffezione politico-istituzionale” emergono segnali di sfiducia strutturali, che attraversano le leadership di governi e legislature e che di conseguenza prescindono dai partiti e movimenti. Per esemplificare e volendo citare il monitor SWG, i dati di disaffezione sono strutturalmente ancorati in una forbice che varia tra il 48% del dicembre 2013 e il 41% dell’ultimo mese di luglio il che significa che nell’arco di 10 anni il livello di partecipazione attiva, nonostante i molteplici cambiamenti della società vede la difficoltà dei cittadini a intaccare il nodo di fondo della presa di distanze dal mondo pubblico. 

Il terzo rilievo è l’apparente ininfluenza del voto che ha portato, durante le ultime elezioni dello scorso 25 settembre, a presentare un dato molto grave nel panorama politico sia italiano che europeo. L’affluenza alle urne ha subito un calo a livello nazionale di 9 punti percentuali, attestandosi al 63,9% degli aventi diritto. Il dato rappresenta il maggior crollo di partecipazione nella storia repubblicana. E rientra tra i dieci maggiori cali di affluenza nella storia europea dal 1945 a oggi.

I principali promotori di attività di comunicazione politica e istituzionale non riescono a creare interesse e engagement nonostante il cambio di paradigma delle piattaforme mediatiche a loro disposizione che, con la digitalizzazione dei contenuti, dei format e dei canali sono passate da monodirezionali a bidirezionali. Cosa è successo dunque? Un’ipotesi di lavoro più che percorribile è che la polarizzazione dell’offerta politica è diventato uno dei principali indici di produzione delle attività di comunicazione e informazione politico-istituzionali e, nonostante una larga platea di micro-audience tra cui poter scegliere, l’offerta di contenuti e palchi di comunicazione insegue i cosiddetti “hype” del palinsesto della quotidianità. 

Si passa perciò dalle foto opportunity del Sindaco di Roma, una capitale che sembra in difficoltà di governance sui temi capaci di costruire autorevolezza, con il campione di turno (l’ultimo Lukaku sullo sfondo del Colosseo) alle dichiarazioni di alcuni Ministri della Repubblica sull’ipotesi di un combattimento di arti marziali miste tra Mark Zuckerberg ed Elon Musk, casualmente anch’essa sullo sfondo del Colosseo. Sono passati 25 anni dalla nascita di Google, un quarto di secolo, in cui l’attività di comunicazione è cambiata radicalmente: se le imprese hanno saputo trarre notevoli vantaggi competitivi consolidando e, in alcuni casi, lanciando dei brand inesistenti che in pochi anni sono diventati dei punti di riferimento in molti settori merceologici, lo stesso non si può dire della politica e delle istituzioni che spesso faticano a trovare una strategia di posizionamento. Questo equivale a rinunciare a inseguire la cronaca quotidiana nonché performance da “zero virgola” nel sondaggio della settimana e, al contrario, dettare la propria agenda contenutistica individuandone con molta precisione micro-audience da attivare e non da circuire. 

A proposito di compleanni di piattaforme mediatiche, oltre a Google e LinkedIn, sempre quest’anno ha compiuto 20 anni in Italia SkyTg24 con la sua formula all news che ha rivitalizzato la competizione in ambito televisivo e, per l’occasione, è stata fatta un’analisi da cui si evidenzia che tra le notizie che colpiscono di più dopo le news di cronaca (53%) siano quelle di economia (11%) e non quelle di politica nazionale (9%) e questo ci restituisce la misura di un interesse sempre più marginale della tematica e dei suoi principali attori. 

Se è vero, perciò, che il mondo dell’informazione disintermediata, in cui le fake news sono dietro l’angolo vista la caduta delle barriere all’ingresso, ha creato evidenti problemi nella costruzione e nel mantenimento di autorevolezza a tutte le istituzioni è altrettanto vero che per risalire la china reputazionale non ci si debba piegare a inseguire un consenso la cui tracciabilità dura il tempo di un caffè.