Brand activism: un fenomeno in ascesa per le imprese italiane 

CORPORATE ACTIVISM: AZIENDE CHE FANNO LA DIFFERENZA

di Margherita D’Innella Capano, General Manager, Telpress Italia Srl

L’attivismo d’impresa e di marca è sempre più diffuso nel nostro Paese dove passa principalmente per i micro influencer. Le aziende più attive sono nel food & beverage e nella moda; e ancora, il caso Enel, le novità di Intesa Sanpaolo e PayPal.

In Italia è esploso negli ultimi tre anni ed è legato prevalentemente alla sostenibilità ambientale; più recentemente si è spostato anche sulle politiche di genere, in particolare sulla parità e sui diritti LGBT, tra i temi caldi degli ultimi mesi. Stiamo parlando del corporate & brand activism, l’attivismo di marca, cioè la posizione e l’impegno delle imprese su questioni sociali o politiche di attualità. È un fenomeno sempre più diffuso ma relegato a specifiche community e, tranne che in alcuni casi, non riesce a guadagnare l’opinione pubblica ma trova sponda soprattutto tra i più giovani. 

Figura 1. World cloud con le parole più ricorrenti nelle conversazioni social sul corporate & brand activism

L’unica impresa che è riuscita a emergere con una posizione più forte, recentemente, è stata Enel. I brand più attivi, però, si dividono tra il food e il fashion. Nel primo caso il podio di aziende più attive se lo contendono Lavazza e Ferrero. Piazza d’onore per Illy tra le primissime imprese del nostro Paese a investire in una reale responsabilità sociale. Eh si, perché oggi lo chiamiamo brand activism ma il riferimento è sempre alla promozione di comportamenti responsabili, quella sostenibilità che non riesce proprio a fare breccia nella cultura italiana, forse anche a causa di una grande componente di green o social washing. Nella moda, invece, la partita è più ampia con Armani, Prada, Gucci e Versace ed è esplosa durante la pandemia. A sorpresa tra le prime dieci imprese maggiormente impegnate socialmente troviamo due operatori finanziari: Intesa Sanpaolo e PayPal; tra le imprese emergenti Banca Ifis. L’outsider è Pirelli, che si piazza nelle prime posizioni grazie al grande impegno profuso nella comunicazione delle scelte di sostenibilità. 

Figura 2. I dati sulle conversazioni social su brand activism 

Sono alcuni dati della fotografia sul corporate activism delle grandi aziende scattata dall’Osservatorio sui media e la comunicazione di Telpress Italia per l’International Corporate Communication Hub attraverso l’analisi basata sul monitoraggio del web e i principali social network (Facebook, Twitter, Instagram, TikTok e YouTube) tra il 1° aprile e il 1° giugno 2023 realizzata con la piattaforma MediaScope™ che consente la rilevazione in tempo reale e la relativa analisi dei dati delle conversazioni del web e dei social network su keyword definite. Dai dati raccolti ed elaborati dalla squadra di giornalisti, esperti e analisti di Telpress, emerge che l’attivismo di marca e più in generale d’impresa in Italia è molto frammentato ma soprattutto che l’impegno di brand e corporate è poco conosciuto sotto questo nome, a differenza d’oltreoceano dove, invece, è una pratica diffusa. 

Questo fenomeno, nato nel 2015 negli USA con un’iniziativa di Starbuck, la Race Together, che però si rivelò un epic fail, nel 2017 viene indicato da Interbrand come la tendenza che avrebbe rivoluzionato la comunicazione d’impresa. E così è stato, tanto da diventare il tema dell’ultimo libro di Philip Kotler, il più autorevole studioso di marketing al mondo, autore del più diffuso manuale. 

In Italia è arrivato con i grandi marchi sportivi, Nike e Adidas, ma non ha trovato terreno fertile in questo settore mentre si è affermato nel food & beverage e nel fashion. Diverse le campagne di produttori di birra a favore del bere responsabile, ma le iniziative che hanno raccolto maggiori consensi sono quelle di Lavazza con il bellissimo spot per la giornata della Terra che su YouTube ha raccolto oltre 1 milione di visualizzazioni e il messaggio è divenuto virale, e Ferrero per l’impegno ambientale con la grande rivoluzione dei packaging eco-sostenibili delle merendine comunicato negli ultimi mesi. 

Tra le altre imprese una menzione speciale va a Barilla, che però – nonostante gli sforzi – non riesce ad agganciare il target più attivo, quello dei giovanissimi, e i due leader della grande distribuzione organizzata cooperativa, Coop e Conad, che hanno fatto breccia nei consumatori ma trova poco riscontro sui social. L’attivismo di marca ha trovato terreno fertile tra i Millennial e nella Generazione Z, ragazzi tra i 12-14 anni e fino ai 20-23 oggi più fortemente impegnati e attenti ai temi sociali, ambientali e politici. 

La rivoluzione del corporate & brand activism passa, dunque, prevalentemente per i social network, Instagram e Twitter in testa grazie ai big e soprattutto ai micro-influencer, attivisti di riferimento nelle community tematiche. TikTok è ancora tagliata fuori. Ma i messaggi condivisi sui canali social partono dal web dove si trovano le ragioni di una scelta o di una campagna. L’analisi trova riscontro nei numeri, che sono ancora bassi rispetto ad altri Paesi. Le mention riconducibili al corporate e brand activism sono poco più di 20mila anche se generano un numero significativo di interazioni (quasi 700mila), proprio a significare il restringimento a community specifiche che producono, però, una buona audience con 40,5 milioni di visualizzazioni in due mesi, segnale che il messaggio arriva a un buon numero di persone. 

Figura 1. World cloud con le parole più ricorrenti nelle conversazioni social sul corporate & brand activism

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Figura 2. I dati sulle conversazioni social su brand activism 

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Tabella 1. Le imprese con più mention sul brand activism