CIÒ CHE SI VEDE E CHE NON SI VEDE. IL MONDO CHE VERRÀ TRA POLITAINMENT E POTERE TECNO-ECONOMICO

POLITICA E SOCIAL NETWORK: ETICA, PARTECIPAZIONE E POLARIZZAZIONE

di Lorenzo Castellani, Professore di Storia delle Istituzioni Politiche Università Luiss Guido Carli


Qual è la realtà della politica? O meglio, cosa è la politica oggi? Viviamo in un mondo dicotomico, sempre più diviso tra ciò che si vede e ciò che non si vede. 

Iniziamo da ciò che si vede. Come in una rappresentazione teatrale i pupi si dispongono sulla scena: ci sono i leader politici, gli opinionisti, gli influencer, le starlette. Tutti partecipano allo stesso gioco e con gli stessi strumenti. Infilano la testa nello smartphone per le dirette Facebook, subissano di foto gli account Instagram, partecipano ai soliti programmi televisivi raccontando storie intime e personali, sparano mini video su TikTok. In altre parole, producono intrattenimento. C’è la politica, c’è la rappresentanza, certo, ma c’è una nuova forma mista che potremmo chiamare politainment, somma di politica ed entertainment. Vale per leader politici narcisisti e superficiali, per giornalisti che si vestono come rockstar e si crogiolano nel loro parlare sporco, per starlette passate alla politica e per politiche entrate nel mondo dello spettacolo; per gli influencer, i cantanti, gli artisti che sfruttano temi politici a loro cari per un’azione di marketing ad ampio spettro. Tutto, purché se ne parli. 

Non esistono fatti ma verità personalizzate, interpretazioni soggettive del leader o influencer di turno. Non esiste dibattito, ma solamente affermazioni assertive. Ecco la grande oscillazione del potere nell’era del politainment: dalla conoscenza attraverso media tradizionali a quella dei social network. Su queste frequenze si muove la fast democracy, la politica dell’istantaneo che fa del referendum quotidiano online la propria ragione di vita. Sondare gli umori tutti i giorni, profilare gli utenti, fare del personaggio pubblico un amico intimo di milioni di persone, intrattenere le masse social con giochi, spettacoli, quiz, mosse a sorpresa, storie sentimentali. Così la democrazia si trasforma: da governo delle opinioni a governo, instabile, delle emozioni

Declinano gli altri media e le vecchie istituzioni della democrazia borghese: a cosa servono i giornali, da decenni in calo di vendite? E le televisioni? E i partiti o i sindacati? Per tenere gli ascolti in vita i talk show sono costretti a mescolare la politica con scienza, salute e gastronomia. Oppure a invitare comici e star del web. Il nostro mondo è pieno di ultimi dinosauri destinati a sparire come i manifesti, i volantini, i santini e i comizi. La campagna elettorale esiste soltanto quando si apre lo smartphone. Il reale è virtuale, il virtuale è reale. Questo è ciò che si vede. Il grande sballo allucinogeno del narcisismo e del capitalismo dell’intrattenimento che nascondono il volto reale del potere. Ciò che non si vede, acquattato nelle pieghe della burocrazia, dell’economia, dell’intelligence. Conta di più l’ultima polemica di un influencer o chi costruirà la rete 5G? La gastronomia del politico o chi saranno gli azionisti delle prime banche del Paese? Il numero dei follower o i bond comprati dalla BCE? 

Uno dei problemi fondamentali del nostro tempo è che il nudo potere ha divorziato dal suo involucro. La gabbia si è staccata dal criceto nella ruota. Rotte le ideologie e le istituzioni intermedie non restano che il politainment da un lato e il potere tecno-economico dall’altro. Con il rischio di creare continui cortocircuiti tra la demagogia vistosa del primo e la tecnocrazia silente del secondo. Ma come può questo potere tecno-economico legittimarsi se la politica è ridotta a intrattenimento? Tra la semplicità banale del politico-influencer e la complessità degli ingranaggi del potere mancano i pontieri, i nodi che tengono insieme le due reti. E così fioriscono sfiducia, sospetto, teorie dei complotti, senso di impotenza. Sono evaporate le ideologie e forse non è un male poiché esse erano uno stupefacente non tanto diverso dall’entertainment in alcuni casi. Ma come si può far funzionare una democrazia senza istituzioni locali, partiti, sindacati, scuole di formazione e personale politico professionalizzato? E questa è l’unica riflessione che si può fare, consapevoli che il mondo degli influencer non può essere eliminato disconnettendo l’account e che il vecchio mondo della politica è passato per sempre. 

Di positivo si può aggiungere solamente un cuscinetto, capace di ammortizzare la frizione tra il nudo potere e la fast democracy. Sono i pontieri del mondo che verrà: uomini e donne che hanno percorso un cursus honorum, che si sono formati intellettualmente e politicamente, che mantengono un legame con la propria comunità locale e spirituale, che poggiano sulla scienza e la professionalità ma senza perdere la visione d’insieme propria della politica. Essi non dovranno essere necessariamente leader, ma potranno funzionare da pilastri del sistema, da lubrificante di un motore sempre più complesso. È questa corda tra ciò che si vede e ciò che non si vede che la politica del futuro potrà costruire. Dalla capacità di farlo dipenderà il futuro dei nostri regimi politici e la qualità del sistema-paese. 

Quando propaganda e potere, cioè polis e oikos, divorziano e confliggono non resta che la dissoluzione. Solo con legature sociali nuove e rinsaldate sarà possibile evitare il collasso derivante proprio dallo sfasamento tra reale e virtuale.