Corporate activism e purpose: come generare valore aziendale

CORPORATE ACTIVISM: AZIENDE CHE FANNO LA DIFFERENZA

di Stefano Tassone, Head of Group Communications, Mediobanca

Il corporate activism si è affermato da tempo come efficace tattica di comunicazione: la sua rapida diffusione è legata alla possibilità che offre alle aziende di distinguersi sul mercato assumendo una posizione puntuale e costruttiva su temi sociali o politici che riscuotono l’interesse delle persone. Ciò avviene, peraltro, anche in conseguenza alla crescente sensibilità dei consumatori verso le prese di posizione pubbliche delle aziende su temi anche lontani dal loro specifico ambito di attività. Secondo una ricerca di Edelman del 2018, per esempio, il 64% dei consumatori compra o boicotta un marchio per le posizioni da questo assunte su temi sociali e politici. Il corporate activism in questo senso è dunque una possibilità di dialogo e posizionamento che un numero crescente di aziende sta esplorando. 

Questa opportunità implica d’altro canto il rischio che, mossi dall’intento di mostrare sensibilità e tempestività su alcuni temi di attualità, si finisca per disconnettersi da alcuni tra gli asset che contribuiscono in maniera decisiva al valore dell’impresa stessa. Questo è una criticità sensibile per le aziende perché gli investimenti che vengono effettuati in comunicazione per sostenere azioni di corporate activism (utilizzo dei social media proprietari, ufficio stampa, eventi e sponsorizzazioni, etc.) vanno tutti a confluire in un unico capitale, ovvero la brand equity dell’azienda stessa.

La sfida per i professionisti della comunicazione è dunque connettere il potenziale tattico del corporate activism al valore strategico del brand. Una sfida che deve essere affrontata con prudenza al fine di prevenire i passi falsi che l’attuale ecosistema mediatico, caratterizzato da grande facilità di trasmissione e alta polarizzazione, rende più probabili e potenzialmente molto dannosi. Al contrario, un tipo di attivismo aziendale strategicamente ancorato al valore strategico del brand può sostenere la comunicazione d’impresa nel perseguire obiettivi e sfruttare opportunità.

Sinteticamente, tre sono i vantaggi che si possono ottenere attraverso un uso corretto del corporate activism. In primo luogo, l’impresa agisce come parte attiva del cambiamento. 

Intercettare i bisogni delle persone per poterli soddisfare con soluzioni adeguate, è il compito chiave che accomuna le imprese di ogni tempo, indipendentemente dal contesto in cui operano. È frequente che le aziende indichino un orizzonte di possibilità ad altri attori sociali (si pensi per esempio all’adozione di obiettivi ESG che precedono uno standard fissato dalla normativa, o a programmi di welfare aziendale che anticipano l’introduzione di una politica pubblica). Il contributo del corporate activism alla strategia di comunicazione consiste non solo nell’essere un potente strumento di amplificazione dei valori dichiarati dall’impresa, ma ancor prima di affermarne il ruolo sociale, la propria appartenenza attiva alla comunità di riferimento. Prendendo parte al dialogo pubblico l’impresa mira a ottenere il riconoscimento degli altri attori sociali con i conseguenti benefici in termini di credibilità e autorevolezza di brand. 

Pensare il corporate activism in maniera funzionale alla costruzione di brand e allo sviluppo dell’heritage può inoltre fornire un utile strumento sul versante della sostenibilità. Una logica che guardi all’integrazione dello sviluppo dell’impresa con i destini del pianeta e lo sviluppo delle comunità, che superi concetti come filantropia e attività di CSR per il loro rischio implicito di disconnessione dal business, richiede una visione altrettanto strategica nell’affrontare prove di corporate activism, dove il rischio di scivolare nell’opportunismo, con conseguenti – e sempre più frequenti – accuse di greenwashing o rainbow-washing, è particolarmente concreto. 

Un terzo elemento consente di chiudere il cerchio: si tratta del purpose. L’interesse per le imprese che affermano il proprio scopo si è espanso seguendo una traiettoria analoga a quella che ha seguito il corporate activism. È una caratteristica chiave di questo fenomeno a chiamare in gioco il purpose, a renderlo praticamente necessario per una comunicazione efficace: il confine tra il corporate activism e altre forme di impegno sociale è tracciato dalla mancanza di consenso di cui l’impresa si assume il rischio. Colmando la distanza tra una semplice e generale dichiarazione di valore e una presa di posizione pubblica su un tema sociale o politico specifico, con conseguente esposizione del brand al potenziale dissenso alcuni stakeholder chiave (clienti in primis), l’impresa afferma in maniera forte quei valori che ritiene possano garantirle un posizionamento distintivo sul mercato e una buona reputazione. Se è vero, insomma, che il purpose può orientare la comunicazione, ispirandola a tematiche e cause che hanno un carattere fondativo per l’impresa, analogamente il corporate activism può generare valore, e non viceversa, solo nella misura in cui è saldamente ancorato al purpose dell’azienda e concorre a rafforzarne la percezione presso gli stakeholder.