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D&I, IL VALORE DELLE DIVERSITA'

DIVERSITY, EQUITY & INCLUSION: SCENARI COMUNI E TENDENZE INTERNAZIONALI

di Vanessa Gemmo, Università IULM

Gestire l’eterogeneità, garantendo equità di trattamento e inclusione e, contemporaneamente, valorizzare le diversità, rappresenta oggi un imperativo che impegna tanto le aziende quanto la società civile in senso allargato.

La necessità di contrastare discriminazioni basate su genere, abilità fisiche e cognitive, orientamento sessuale, credo religioso, orientamento politico, età, appartenenza etnica e nazionalità, ma anche l’esigenza di veder riconosciuta l’uguaglianza di genere nei contesti professionali e, in particolar modo, nelle posizioni apicali; e ancora, la necessità sempre più sentita di bilanciamento tra vita familiare e lavorativa, il desiderio di integrazione di una società sempre più multiculturale, sono alcune delle motivazioni che pongono i temi di Diversity, Equity & Inclusion (D&I) management al centro non solo del dibattito sociale e politico ma anche delle politiche e delle prassi aziendali, rientrando a pieno titolo nelle iniziative a sostegno del raggiungimento dei 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile definiti dalle Nazioni Unite come parte dell’Agenda 2030.

Anche attraverso le pratiche di DE&I, finalizzate a favorire ambienti di lavoro inclusivi, si mettono in atto azioni e misure concrete per garantire la sostenibilità sociale promuovendo la parità di genere, la riduzione delle disuguaglianze e la prosperità.

LO SCENARIO ATTUALE

Lo scenario dal quale scaturiscono riflessioni collettive e, parallelamente, azioni concrete a favore dell’inclusione e della gestione della diversità è complesso ed eterogeneo.

Un ambito di primaria importanza è sicuramente quello re- lativo al ruolo delle donne nella società: i progressi verso la parità di genere, valutati in quattro diversi ambiti – partecipazione e opportunità nel contesto economico, opportunità di formazione e di crescita professionale, salute, partecipazione al contesto politico – dal World Economic Forum in 146 Paesi, mostrano purtroppo uno stallo.

Dal Global Gender Gap Report 2022 del WEF si evince che il processo verso la chiusura del divario di genere a livello mondiale è al 68,1% di avanzamento: considerando l’attuale tasso di progresso, serviranno 132 anni per raggiungere la completa parità di genere. Nonostante si noti un leggero miglioramento rispetto al 2021, quando gli anni stimati per raggiungere tale traguardo erano 136, si comprende come la strada sia ancora lunga e quanto serva un’accelerazione decisa e immediata (figura 1).

In particolare, il divario di genere nel contesto economico è influenzato da diversi fattori, tra cui barriere strutturali e culturali di vecchia data, trasformazioni socio-economiche e tecnologiche, così come i recenti sconvolgimenti economici a livello mondiale che penalizzano in particolar modo le donne, sovente costrette ad abbandonare il lavoro per dedicarsi alla cura di famigliari e figli, sopperendo in tal modo a mancanze di welfare pubblico.

Con riferimento alle donne che ricoprono posizioni di vertice nel settore privato e in quello pubblico, si nota che la quota, a livello mondiale, è pari solo al 33% con settori dove tale percentuale scende ulteriormente: 16% nel settore delle infrastrutture, 19% in quello manifatturiero, 20% in quello energetico, 21% in quello dei trasporti (figura 2).

Il soffitto di cristallo è rappresentato anche nel Glass-ceiling index 2022 a cura di The Economist in cui vengono valutati il ruolo e l’influenza delle donne in ambito lavorativo nei Paesi OCSE più ricchi. Quattro Paesi del nord Europa, Svezia, Islanda, Finlandia e Norvegia, guidano la classifica dei posti migliori per donne che lavorano, in base a criteri che includono il divario salariale in base al genere, le misure di supporto alla genitorialità, le opportunità di crescita professionale, la presenza in posizioni di vertice in ambito aziendale e in ambito politico. L’Italia nel 2021 si è posizionata solo al sedicesimo posto, leggermente sopra la media OCSE (figura 3).

L’eterogeneità, tuttavia, non riguarda solo il genere, ma anche altre dimensioni, tra le quali, le abilità fisiche e cognitive, l’orientamento sessuale, il credo religioso, l’orientamento politico, l’età, l’appartenenza etnica e la nazionalità. Obiettivo delle politiche di Diversity, Equity & Inclusion è riconoscere il valore e le opportunità sottostanti alla varietà e mettere in atto azioni di integrazione e valorizzazione, promuovendo ambienti di lavoro inclusivi. Se l’intenzione è chiara, non è detto che la realizzazione sia altrettanto semplice.

Da una recente indagine1 di PageGroup (2022) finalizzata a indagare come viene percepito e gestito il tema Diversity, Equity & Inclusion all’interno delle aziende italiane, emerge un quadro abbastanza incoraggiante, nonostante si riscontri che la sensibilità riguardo tali tematiche sia ancora inferiore rispetto ad altri Paesi europei come Portogallo, Spagna e Olanda: tra le aziende italiane intervistate, il 60,2% dichiara di essersi occupato di DE&I management negli ultimi 2 anni; il 22,7%, invece, non ha ancora pianificato alcuna attività a tal proposito, ma lo farà nel prossimo futuro; mentre il 17% non ha in previsione di farlo. Le motivazioni dichiarate che spingono queste aziende a non attuare alcun focus su questi temi sono principalmente due: metà delle aziende intervistate (53,3%) afferma di non essere in grado di percepirne il valore aggiunto, mentre il 26,6% attribuisce la mancanza di un focus su D&I management alla mancanza di risorse e capacità utili ad approcciare un tema estremamente complesso.

Per quanto concerne il focus delle attività di D&I management, quasi la totalità delle aziende (88,6%) pone attenzione all’equilibrio di genere. Le aziende intervistate si concentrano, inoltre, sull’integrazione di dipendenti con disabilità (63,6%) e più della metà dei manager coinvolti (52,3%) concentra le proprie politiche sul tema sul creare il miglior ambiente di lavoro possibile per persone di diverse età.

QUALI BENEFICI PER LE AZIENDE?

Un’adeguata strategia di Diversity, Equity & Inclusion management può portare alle aziende benefici in diversi ambiti.

In primis, a prescindere dai vantaggi ottenibili, occorre sottolineare l’aspetto etico di politiche di D&I, evidenziando che la prevenzione e il contrasto ad atteggiamenti discriminatori, nonché il rispetto nei confronti dell’altro, dovrebbero caratterizzare il nostro essere e il nostro agire quotidiano, in qualunque contesto.

Anche per questo motivo la sensibilità delle aziende verso tematiche D&I è apprezzata dai diversi stakeholder e contribuisce, pertanto, al miglioramento dell’immagine dell’azienda. Nel dettaglio, le politiche D&I hanno un impatto positivo in termini di engagement e retention delle risorse, attuali e potenziali: oggi, l’attrattività di un’azienda si misura anche dal suo grado di inclusività.

Politiche D&I rafforzano dunque la capacità di attrarre e trattenere i talenti, aumentano la soddisfazione e la fidelizzazione dei dipendenti e favoriscono la creazione di un ambiente di lavoro più stimolante, a beneficio di un incremento di produttività. Non da ultimo, la combinazione di diverse prospettive, abilità e competenze porta con sé anche un costante impulso all’innovazione e al cambiamento.

UN APPROCCIO DIVERSITY, EQUITY & INCLUSION DI TIPO STRATEGICO

Se i benefici attesi sono chiari e condivisibili, occorre tuttavia sottolineare quanto un’efficace strategia di Diversity, Equity & Inclusion sia quantomai necessaria per poterli raggiungere. Attività isolate e non coordinate a livello organizzativo rischiano di generare singole iniziative non in grado di portare benefici a livello sistemico. Per poter sprigionare valore, le politiche DE&I devono concretizzarsi in un impegno manageriale e uno sforzo organizzativo costante, strutturato e sistematico.

Si rende pertanto necessario un approccio basato su una cultura organizzativa coerente con i valori delle pari opportunità: a tal fine, è basilare, innanzitutto, un forte commitment da parte del top management per permeare l’organizzazione con i principi di equità, inclusione e rispetto della diversità e coinvolgere adeguatamente i lavoratori. A ciò si affianca un rinnovamento degli stili manageriali che devono essere costruiti attorno a nuove attitudini, al dialogo e allo sviluppo delle capacità di riconoscere, comprendere e gestire l’eterogeneità. Contestualmente si rendono necessarie politiche di gestione delle risorse umane, processi organizzativi e nuovi ruoli (ad esempio, Chief Diversity and Inclusion Officer) che sappiano dare concretezza alle buone intenzioni, stimolare la motivazione dei lavoratori attraverso la filosofia dell’empowerment e creare una reale esperienza inclusiva a livello organizzativo.

Questo tipo di approccio consentirebbe alle aziende di raggiungere la fase evolutiva sostenibile, ovvero lo stadio di maturità in cui gli sforzi in tema D&I sono ottimali, coordinati e restano forti nel tempo attraverso un processo di miglioramento continuo (Washington, Harvard Business Review, 2022). Il processo evolutivo consta di cinque fasi: consapevolezza, in cui le tematiche D&I entrano per la prima volta in azienda e si inizia a creare consapevolezza in merito alla loro importanza; conformità, in cui le aziende svolgono attività D&I per essere conformi a leggi e normative; tattica dove le tematiche D&I iniziano ad essere collegate agli obiettivi di business; integrazione, lo stadio in cui si adotta una chiara strategia aziendale D&I e i principi di equità, rispetto e inclusione permeano qualsiasi attività a livello aziendale; sostenibilità, dove gli sforzi in tema DE&I sono ottimali, coordinati e restano forti nel tempo attraverso un processo di miglioramento continuo.

In un’indagine condotta nel 2022 da Washington in collaborazione con Slack’s Future Forum, in cui è stato chiesto a oltre 10.000 knowlegde worker in sei diversi Paesi (Stati Uniti, Australia, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito) di valutare le performance D&I delle loro aziende, il 31,6% ha dichiarato di trovarsi fermo alla fase “conformità” (figura 5).

È un buon punto di partenza, ma il percorso non può considerarsi ultimato. Nonostante non ci sia un’unica soluzione per implementare le politiche di Diversity, Equity & Inclusion, è plausibile ritenere che un approccio basato su questi stadi evolutivi consenta di integrare una strategia top-down a iniziative bottom-up, di sviluppare una coesa cultura organizzativa imperniata sul rispetto e sull’inclusione e, in ultimo, di incorporare i principi di equità nelle policy così come nella pratica.