“Essere curati è un diritto fondamentale”. Nel mondo con EMERGENCY 

CORPORATE ACTIVISM: AZIENDE CHE FANNO LA DIFFERENZA

Intervista a Rossella Miccio, Presidente, EMERGENCY

Un impegno in tutto il mondo al servizio delle persone; un impegno sociale ma anche morale. Cosa significa “esserci” per voi?

“EMERGENCY è nata ormai quasi trent’anni fa con un doppio mandato, da un lato quello di curare bene e gratis le vittime della guerra e della povertà e dall’altro anche quello di promuovere una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani. Per noi ‘esserci’ vuol dire riconoscere il legame fortissimo tra questi due mandati, vuol dire ‘esserci’ con le nostre attività sanitarie e di formazione, nei luoghi in cui i diritti alle cure vengono calpestati, dove la guerra mette in discussione la stessa possibilità di esistere ma anche nel Mar Mediterraneo dove si vede negare costantemente il diritto a una vita dignitosa e addirittura di essere salvati. 

Tutto questo lo facciamo avendo ben in mente che quello che EMERGENCY fa è qualcosa di necessario ma che bisogna lavorare anche per eliminare le cause alla radice di questi problemi. La nostra azione umanitaria si basa su dei valori che sono il rispetto dei diritti umani, dell’uguaglianza, della dignità di ciascun individuo e anche la nostra attività di advocacy diventa più concreta perché unita all’esperienza che abbiamo sul campo. Riuscire a tenere insieme queste due cose per noi significa esserci a 360° e fare il nostro pezzettino per costruire un mondo più giusto.”

Sanità implica diritti. Come si costruisce una solida piattaforma per il riconoscimento dei diritti di base della persona nei Paesi in cui EMERGENCY è presente?

“Il nostro presupposto operativo è che essere curati è un diritto umano fondamentale e che deve essere riconosciuto per tutti allo stesso modo. In primo luogo crediamo che non ci debbano essere sistemi sanitari di serie A e serie B e quindi garantire in Occidente un determinato livello di cure mentre nei Paesi considerati in via di sviluppo possano bastare i nostri avanzi. 

Questo si traduce in un approccio innovativo nell’affrontare le tantissime crisi umanitarie e sanitarie che vediamo in giro per il mondo presupponendo però un coinvolgimento costante delle autorità locali e delle comunità locali. Proprio per questo motivo, da sempre, abbiamo incluso l’attività formativa nei nostri progetti perché l’obiettivo non è semplicemente rispondere a un bisogno in un momento di crisi ma è quello di costruire qualcosa che possa rimanere nel Paese. 

Allo stesso tempo cercare di avere il maggior coinvolgimento possibile delle autorità sanitarie del Paese in cui operiamo, sia in termini di contribuzione, anche economica, per garantire i servizi qualitativi gratuiti a tutti i pazienti, nel rispetto della neutralità della struttura e della nostra indipendenza, sia in termini di dialogo per capire quali possono essere le priorità da affrontare e affrontarle insieme. Quello che EMERGENCY prova a fare è portare un modello, chiedere di darci il tempo e il modo di metterlo in pratica e poi confrontarci con le autorità di questi Paesi per capire come produrlo, rafforzarlo e renderlo sostenibile. È quello che è successo con la rete ANME (Medicina di Eccellenza in Africa) che speriamo possa diventare un modello per l’intero continente.”

Un network, quello di EMERGENCY, sempre più ampio. Quali sono i rapporti con i vostri stakeholder?

“EMERGENCY è una realtà estremamente composita. I pezzi del puzzle che compongono questo progetto sono tantissimi e vanno dai nostri pazienti, ai volontari, alle persone che ci sostengono, alle istituzioni nazionali e internazionali, centrali e locali, con cui ci confrontiamo continuamente. Ma anche il pubblico, il mondo dei media, perché molto spesso ci siamo trovati ad essere al centro di crisi internazionali. 

Quello che cerchiamo di fare è sviluppare il più possibile strumenti diversi, con linguaggi diversi per poter interagire con questo mondo complesso cercando anche di arricchire il nostro modo di ragionare sulla base dei feedback che ci arrivano. Credo che questa sia stata la chiave del successo di EMERGENCY in questi quasi trent’anni, questa trasparenza e dialogo costante con i vari stakeholder. La nostra associazione, essendo un organismo vivo, aveva bisogno di crescere ma crescere nel rispetto della propria identità e penso che questo, avendo curato più di 12 milioni e mezzo di persone in giro per il mondo, sia un risultato importante.”

L’indifferenza è caratteristica diffusa della società contemporanea. Quali azioni di sensibilizzazione mettete in campo?

“Io credo che il problema non sia tanto l’indifferenza quanto l’indifferenza verso quello o quelli che consideriamo altro da noi. Credo che questo sia venuto alla luce in maniera evidente con lo scoppio della guerra in Ucraina, una guerra gravissima, violentissima, una guerra ingiusta, come lo sono tutte le guerre, che però abbiamo sentito molto più vicina perché era alle porte dei nostri Paesi, perché gli ucraini li abbiamo in casa da tanto tempo. Questo, quindi, ha dato vita a una serie di azioni e reazioni e scelte politiche importanti rispetto all’accoglienza dei profughi, di chi scappava, ma anche rispetto alla mole di fondi destinati ad aiutare l’Ucraina, purtroppo prevalentemente in ambito militare e ancora troppo poco in ambito umanitario e sociale, cosa che non si è vista per tutte le altre crisi che ci sono in giro per il mondo. 

Quindi credo che più di un problema di indifferenza sia un problema di mancato riconoscimento, riportato nella Dichiarazione dei diritti umani, dell’uguaglianza, dignità e diritti di ogni essere umano. Credo che questo debba essere lo sforzo ed è sicuramente lo sforzo che sta cercando di fare EMERGENCY con tutti gli strumenti che possiamo utilizzare: i nostri social, le attività di advocacy, il Festival, la rivista trimestrale che racconta quello che facciamo; parliamo nelle scuole con gli studenti perché crediamo che questo sia un elemento fondamentale per rendere consapevoli i giovani di oggi, anche perché, evidentemente, il mondo che stiamo lasciando loro ha bisogno di essere messo un po’ a posto. 

Proviamo a creare un senso di cittadinanza un po’ più globale e condiviso in un mondo che, nel 2023, ha raggiunto livelli di interconnessione tali per cui non possiamo far finta di non sapere quello che succede al di là del nostro giardino. Questi sono gli strumenti che proviamo a utilizzare, trovando sempre canali diversi e utilizzando anche linguaggi diversi: dell’arte, della musica, dei disegnatori.”

Sono sempre di più, tuttavia, le aziende che vogliono riportare l’attenzione su temi sociali. Come possono essere coinvolte le aziende nelle vostre attività? 

“Entrare in contatto con aziende che hanno la sensibilità di capire che possono contribuire in tanti modi diversi a garantire dei diritti è un qualcosa che riteniamo un valore. Non sempre in passato l’interesse a una collaborazione da parte del mondo delle aziende aveva come finalità quello di garantire un accesso a un diritto ma era visto come un modo per presentarsi in maniera diversa in un contesto considerato commercialmente interessante. Con le aziende che hanno un senso genuino della propria responsabilità sociale le modalità di collaborazione sono tantissime: dalla sponsorizzazione pura, anche in termini economici, ma anche dalla promozione in-kind, con beni che possono essere utilizzati, fino alla co-progettazione di iniziative. 

Penso all’ospedale in Uganda, disegnato pro bono da Renzo Piano e che ha visto il coinvolgimento di moltissime aziende italiane a tanti livelli, da quello della progettazione a quello della realizzazione della struttura. La nostra speranza è che, adesso, queste aziende, una volta che l’ospedale è attivo e sta curando tantissimi bambini, sentano anche la responsabilità di continuare a supportarlo e sostenerlo, perché la cosa fondamentale per noi è dare continuità alle nostre attività. Gestire un ospedale vuol dire garantire 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, che l’ospedale sia in grado di assistere chi ne ha bisogno e questo possiamo farlo solo se siamo in tanti a contribuire per questo fine.”