GLI ASPETTI SOCIALI E CULTURALI DEI GRANDI EVENTI

GRANDI EVENTI | UNA RICCHEZZA CULTURALE ED ECONOMICA

di Maurizio Abet, Senior Vice President Communication and Brand image Pirelli

 

Provando a dirla in modo semplice, gli eventi, grandi o piccoli che siano, rappresentano una delle occasioni di cui un brand dispone per generare senso e per fornire un contributo alla creazione di significato, coerente con le caratteristiche e con i valori della marca. Dare forma, attraverso contenuti, suoni, colori e performance a un luogo fisico capace di ospitare pensiero e senso critico, dove le persone interagiscono con la realtà e non con una sua proiezione. 

Lontani da uno schermo, senza filtri, torniamo a essere testimoni che assistono in diretta, senza una mediazione cui delegare la selezione delle priorità, la scelta di un punto di vista, l’innesco di uno spunto capace di attivare un percorso nuovo. L’evento è uno spazio dove ai partecipanti il virtuale arriva dopo, al massimo in simultanea, se fra loro e il palco frappongono il terzo occhio dello smartphone. 

Negli eventi si torna protagonisti, si riscopre quello che è diventato un tormentone lessicale della comunicazione contemporanea: l’esperienza. E questo è un salto nel passato, non certo nel futuro. Ma qui tornare indietro non è un male, anzi. Come leggere un giornale o un libro di carta, come ascoltare un disco in vinile, come uscire di casa per andare al cinema. C’è un’energia, una quota di sana imperfezione, Baricco direbbe una vibrazione, all’interno di queste esperienze, che riesce a renderle uniche. In questa dimensione, da cui traspira più densità meccanica che leggerezza digitale, mentre si lavora alla costruzione della percezione, c’è sempre la speranza che un pezzettino di realtà prevalga sull’artificio della smaterializzazione.  Affiancare ai metaversi del futuro, l’esperienza della materia come eredità irrinunciabile di un passato nobile.

Quello delle agorà della Magna Grecia, delle piazze delle battaglie civili e politiche o delle aggregazioni per vivere, insieme, le emozioni di una vittoria mondiale. 

Insieme: una dimensione che fatica a sopravvivere nell’era della solitudine social. Appaiono diverse le cose viste, ascoltate e ragionate in condivisione. C’è una parte della nostra memoria che non riesce a prescindere dal luogo dove si è formata. 

“Dove stavi quando hanno ucciso Kennedy, ferito Giovanni Paolo II, quando l’Italia di Bearzot sconfiggeva il Brasile o quando sono crollate le torri gemelle?” “In ufficio, a scuola, all’università, al mare”, erano le risposte della generazione del ‘900. È ancora così? Il “dove stavi” prevale ancora sul “dove l’hai visto?”, “su Instagram o Tik Tok?”. Parafrasando, “stare o non stare”. Se questo è allora il dilemma che ci poniamo nell’era digitale, forse una risposta c’è. La condivisione emotiva all’interno di uno spazio fisico amplifica la percezione della realtà e lo fa con una potenza superiore a quella del digitale. 

Il luogo fisico rimane parte fondante della nostra memoria perché è un elemento costitutivo della nostra identità. I nonluoghi di Marc Augè forse rassicurano, ma sicuramente spersonalizzano. Gli eventi pongono argini a questo smarrimento, danno voce a realtà portatrici di istanze e culture diverse, le identificano e le radicano su un territorio, intorno a dei valori, a degli interessi, a un’estetica di forme e architetture. Quelle, ad esempio, delle grandi Esposizioni Universali che nei secoli hanno lasciato simboli in tutto il mondo dell’attitudine umana a progredire. Si tratta di un momento capace di far dialogare, di far costruire, di far comunicare. Stati, istituzioni, imprese, artisti, intellettuali, giornalisti, si ritrovano insieme a tessere una rete, spesso radicata nel territorio, che genera comunità, che l’arricchisce e che la fa pensare.