LA SCELTA DELL’INCLUSIONE. L’IMPEGNO DI VODAFONE

D&I, IL VALORE DELLE DIVERSITA'

di Silvia de Blasio, Direttore Comunicazione Corporate & Fondazione, Vodafone

L’inclusione e’ una scelta: richiede riflessione, visione e azione. Oggi la domanda non è tanto se attuare o meno politiche per l’inclusione, ma cosa serve per farle funzionare davvero.

Ho il privilegio di lavorare in un’azienda dove la cultura della diversità, in una dimensione inclusiva e multiculturale, e’ parte del proprio dna e della propria  strategia, anche in chiave di competitività. Questa cultura si riflette nei numeri: oggi il 53% dei dipendenti è donna e le donne in posizioni manageriali superano il 40%. Da anni lavoriamo sullo sviluppo delle carriere interne per trasmettere alle giovani modelli aspirazionali concreti in cui riconoscersi.

Abbiamo anche politiche di welfare distintive nel panorama italiano. Per esempio, oltre alla copertura al 100% dello stipendio dei 4 mesi di congedo di maternità facoltativo che si aggiungono ai 5 mesi di legge, Vodafone ha introdotto il congedo genitoriale inclusivo, con cui i dipendenti – che diventano genitori a seguito di nascita, adozione o maternità surrogata, in Italia o all’estero, e che non possono accedere al trattamento di maternità previsto dalla legge – possono richiedere un congedo fino a 16 settimane retribuite al 100% dello stipendio.  

Per valorizzare le diversità serve conoscerle e comprenderle. Solo così è possibile scardinare vecchi privilegi, favorire il confronto e riconoscere a chi è da sempre discriminato, equità di trattamento, di espressione e di crescita all’interno della realtà aziendale. 

Credo che siano tre gli ambiti in cui le organizzazioni possano agire: il rispetto delle unicità, la flessibilità del lavoro, l’investimento sulla formazione continua e digitale.

Abbiamo una responsabilità nell’imparare a rispettare le unicità delle nuove generazioni. Oggi i giovani cercano corrispondenza tra i propri valori e quelli dell’organizzazione e si aspettano che il loro lavoro contribuisca non solo a raggiungere obiettivi di business, ma anche a soddisfarli come persone, ad alimentare il resto della vita e a contribuire al sistema. 

Numeri alla mano, donne, ragazzi e minoranze all’interno dell’azienda preferiscono svolgere parte del loro lavoro da remoto. Un dato significativo per le aziende, attualmente alle prese con l’aumento esponenziale di casi di burnout e di Great Resignation. 

Secondo un recente studio McKinsey il lavoro ibrido può contribuire a generare un impatto positivo in materia di diversità, equità e prestazioni. A tal proposito, alcuni gruppi hanno evidenziato una preferenza più netta per il modello ibrido: i dipendenti con disabilità mostrano l’11% in più di preferirlo; uomini e donne il 70% in più di preferenza; i dipendenti non binari mostrano il 14% di probabilità in più di preferirlo; i dipendenti LGBTQ+ registrano il 13% in più di preferire il lavoro ibrido rispetto ai loro colleghi eterosessuali. 

L’isolamento non è certo la soluzione, ma sono convinta che le culture organizzative inclusive che promuovono reciproco supporto aumentino la collaborazione e la soddisfazione sul lavoro. Per chi si occupa di risorse umane, questa fase può rivelarsi una straordinaria opportunità di rinnovamento. Ad esempio, ripensando a tutti i tradizionali strumenti di benefit, attualizzandoli con utili e nuovi schemi di sostegno alla vita lavorativa, unitamente a un approccio personalizzato, integrato e condiviso. 

Infine, il digitale favorisce l’inclusione. Come azienda e come Fondazione siamo impegnati a utilizzare la tecnologia per non lasciare indietro nessuno. Da una parte non si trovano giovani con competenze ICT e dall’altra aumentano i ragazzi che non studiano e non lavorano (NEET). In Italia sono circa 3 milioni e la loro esclusione dal mercato del lavoro vale un punto e mezzo di Pil. Non possiamo permetterci di perderli e condannarli a una marginalità strutturale.