PERSONALITÀ E COERENZA, TEMPO E COSTANZA: I PILASTRI DI UN BRAND

CORPORATE REPUTATION: SFIDE E TENDENZE NELL'ERA DIGITALE

Intervista a Vittorio Cino, Direttore Centromarca

 

Come si costruisce la reputazione nel tempo? Pensiamo quindi alle grandi marche e ai brand di largo consumo.

“Partiamo da un presupposto: il concetto di base del brand è indifferente, cambia il settore, industriale o merceologico, ma non cambia il concetto. Il brand si costruisce innanzitutto definendo la sua personalità: quali emozioni e quali stimoli deve rappresentare per il mondo esterno, per i consumatori e gli stakeholder? Una volta definita la personalità, l’altro strumento indispensabile è la coerenza.

Il brand si costruisce nel tempo, e non all’improvviso, come un insieme simbolico di gesti, emozioni, atteggiamenti e percezioni che devono rappresentare qualcosa nell’immaginario della singola persona che ci viene in contatto. E poi va costruito attraverso la comunicazione che deve essere coerente con i propri valori. Ed è quindi la coerenza che nel tempo porta all’identificazione del brand nell’immaginario del consumatore che quando ci viene in contatto ne ricava immediatamente una percezione – di felicità o di gioia, per esempio.”

 

Per i beni di massa la reputazione è fondamentale per indirizzare la scelta e la fidelizzazione del consumatore. C’è quindi una correlazione tra reputazione e fiducia? 

“C’è più di una correlazione, c’è un rapporto diretto tra brand, valore del brand, attrazione per il brand (brand love) e fiducia (trust). Quanto più il consumatore è attratto da un brand, tanto più ha fiducia nei suoi confronti, tanto più la reputazione del brand ne trae vantaggio. E quanto più il consumatore ha fiducia in un brand, e quindi in un prodotto o un servizio, tanto più è propenso ad acquistarlo o a usarlo. Quindi c’è una doppia correlazione tra valore del brand e fiducia e tra fiducia e propensione all’acquisto o all’uso.”

Qualche esempio? 

Faccio due esempi di prodotti di larghissimo consumo e molto popolari, Coca-Cola e Nutella, due esempi classici di forte connessione emozionale tra brand e percezione del consumatore.

Pensiamo al refrain di Coca-Cola ‘to share’ – condividere: le grandi campagne dell’azienda esprimono il concetto della condivisione in occasioni in cui c’è una massima comunicazione emozionale.

Nel caso di Nutella, invece, il tema è la personalizzazione, la fidelizzazione del consumatore. Le più belle pubblicità sono quelle che raccontano la crescita degli individui, da bambini ad adulti, sempre accompagnati nei loro momenti della giornata da Nutella.”

 


Oggi c’è grande attenzione alla sostenibilità ambientale e ai diritti dei lavoratori lungo tutta la catena del valore che influenza il comportamento di acquisto dei consumatori. Questi sono nuovi parametri per la reputazione delle imprese? E chi non li segue rimane indietro?

“La sostenibilità è indispensabile. Oggi i brand che non si occupano di sostenibilità non fanno il loro mestiere perché i consumatori non distinguono i brand sulla base della sostenibilità ma danno per scontato che se ne occupino già. Perché essere un brand implica essere all’avanguardia dell’evoluzione, mai in retroguardia. I brand fanno innovazione in tutti i campi, altrimenti perderebbero la loro forza nel tempo. In materia di comunicazione della sostenibilità, poi, ci sono due errori da evitare.

Il primo è il greenwashing: dichiarare qualcosa che poi non si fa danneggia la reputazione del brand per cui ci vogliono anni per costruirla e poche ore per distruggerla.

L’altro errore, invece, è comunicare poco la sostenibilità: è giusto raccontare all’esterno le attività sviluppate per rafforzare la propria reputazione. Oggi infatti una delle funzioni dei brand è anche quella di educare: viene chiesto loro di assumere un ruolo di guida, di educazione, di leadership su temi al centro dell’agenda sociale tra cui la sostenibilità.”

 

Ovviamente, la reputazione si sviluppa e si accresce anche attenendosi a quello che viene dichiarato. Un termine oggi molto usato, infatti, è “rainbow washing”. Cosa accade quando le aspettative sono troppo alte rispetto alla fattibilità delle azioni da intraprendere?

“I due pilastri di un brand sono la credibilità è la coerenza. Puntare su tematiche seguendo la moda è un grande errore. Perché il brand, prima di tutto, deve essere identico solo a se stesso, deve avere una sua identità. Ogni brand, ogni azienda è un portato di storia, di memoria, di cultura e tradizioni locali.

Oggi, ormai, anche le grandi multinazionali e i brand globali si stanno localizzando, stanno cercando di instaurare un rapporto più stretto con il territorio. E in questa costruzione del rapporto bisogna rispettare quelle che sono le convinzioni, le aspettative e le preoccupazioni dei diversi territori. Su tutti i temi, anche quelli più caldi, il brand non deve mai perdere di vista il rapporto con il proprio consumatore fatto di coerenza e valori. Un ultimo aspetto da tenere in considerazione è il fatto che un brand non deve avere paura delle critiche.

Certo, queste non sono da sottovalutare, vanno gestite perché sono un campanello d’allarme, ma più della critica il brand deve temere l’indifferenza, la banalità. Il brand non può essere mai banale, perché dalla banalità passa all’indifferenza e dall’indifferenza alla caduta della reputazione.”

 

di Susanna Fiorletta